La prima cosa che mi ha fatto vedere Lorenzo Filomeni la prima volta che sono andata al suo studio è stato uno scatolone pieno di ruggini, entusiasta prendeva ora un pezzo ora un frammento e toccandolo, accarezzandolo me ne indicava i particolari della superficie e del colore. Felice di quel ritrovamento recente immaginava già nuove opere, “quadri” che avrebbe costruito con ciò che aveva raccolto nei pressi del Pontile di Marina di Pietrasanta.
Cosa era Lorenzo prima dell’incontro con la ruggine? Un’anima in cerca. Divenuto pittore relativamente tardi, dopo un corso di studi che sembrava orientarlo verso ben altre scelte di vita, ha spensieratamente attraversato il vario mondo dell’arte contemporanea senza pregiudizio alcuno e soprattutto senza timore. Un percorso da autodidatta che lo ha reso libero fin dalle prime esperienze di provare, meglio, di mettersi alla prova, in svariate direzioni. La sua mappa era il colore, ad esso e con esso ha coniugato una fantasia irruente e i risultati sono uno stupefacente eclettismo di immagini: alcune decisamente risolte, altre sorprendenti per la loro freschezza, altre ancora tasselli di un apprendistato veramente a largo raggio. La Milano dove si è svolto gran parte di questo “viaggio” certamente non gli ha lesinato possibilità di vedere molto di quanto sta accadendo nell’arte contemporanea, allo stesso tempo gli ha consentito un incontro dal vero, più che sui libri, con quelli che appaiono i suoi numi tutelari, la sorgente del suo sentiero: Lucio Fontana e Alberto Burri. La convinzione che esista una valenza estetica intrinseca in ciò che è scartato, il coraggio di aggredire la materia, l’ingenuità dello sguardo nell’osservarla, la serenità di farsi guidare da essa senza temerne le conseguenze. Questo è ciò che sembra essere accaduto fino ad ora e questo è quanto ci fa presagire per il suo futuro.
Accanto a questo l’eco forte dell’esperienza COBRA come del graffitismo e, ancora, di quanto una sorta di “rabbia creativa” ha lasciato traccia nell’espressività giovanile contemporanea. Esemplari in tal senso sono opere come Il cane di fiori, Lazzaro, Bimba stellata, Autoritratto, Mano di Dio, Colonne di lupi, Aspettando, Uomo… opere molto diverse nel linguaggio (egli stesso nel suo Sito Internet - lofilo.com - ha diviso la sua produzione sotto ben otto diverse classificazioni) ma ognuna esemplare delle molteplici tappe di quel che più sopra definivamo “viaggio”, diversissime fra di loro ma assimilabili per la ricerca dell’espressività che la materia – sia essa mero colore o collage di disparati elementi - è in grado di assumere.
Poi è arrivata la ruggine, potrei dire per paradosso è arrivata la “pace”: non che la ruggine abbia fermato la sua irruenza, tutt’altro, semplicemente ha incanalato la sua energia, esattamente come accade ad un torrente scosceso che finalmente trova il suo alveo.
I primi lavori sono caratterizzati da una superficie totalmente ricoperta dei pezzi ferrosi, quasi una sorta di “ricostruzione” di una area che il tempo ha corroso e frantumato, appaiono alla vista come un manto di foglie cadute, hanno le sembianze della terra del bosco ad autunno inoltrato, emergono come tratti di un sentiero di castagni. Queste prime opere sembrano il frutto di una sorta di riconoscenza dell’artista al materiale, egli lo guarda e lo ascolta, esita a violare quella che gli appare l’armonia della lastra originaria che è giunta a brandelli nelle sue mani, quasi volesse ricostruirla. Poi una maggiore confidenza sembra liberare la ruggine dal suo passato e Lorenzo dal suo “stupore” di fronte a tanta ricchezza espressiva della materia, lentamente lo spazio della tela comincia a dilatarsi, i frammenti obbediscono a nuove forze e il dinamismo si impadronisce progressivamente del corso costruttivo dell’immagine. Osservare un quadro di “ruggine” è un po’ come stare davanti ad un fuoco, i frammenti assumono la forza ipnotica delle fiamme e noi ci troviamo a seguirne i percorsi, ora segmenti, vettori verso l’esterno, ora linee semicircolari che tracciano orbite, il cielo o le correnti marine, la superficie dell’aria o dell’acqua, oppure ancora come se i frammenti di ruggine si coordinassero per raffigurare le onde di energia invisibili allo sguardo umano che attraversano le nostre atmosfere.
Lorenzo cercava le ruggini da tempo, nelle opere precedenti la “scoperta” questo lo si può vedere nel modo di spandere il colore, ora a spatola, ora con le mani, ora con svariati supporti utilizzati come “tamponi”, nelle tecniche miste con l’uso di collage di materiali diversi, in ogni suo gesto vi era il tentativo di creare una superficie vibrante, esemplari a questo proposito sono ad esempio“Ombra”2, Zeroquattro08, Volto giapponese, Individuo, Senza titolo, Vista di un cammino, Senza titolo-Applico e deapplico, Voglia di ballare, ma forse la più emblematica in tal senso è Il cane di fiori dove i petali compongono sì la figura ma allo stesso tempo segnano lo spazio della tela esattamente come accade ora ai frammenti ferrosi, lo stesso colore del fiore è assai simile alla ruggine, l’opera è del 2003, all’incirca quattro anni prima della “ruggine”.
Parlando di arte contemporanea, mi è capitato più volte di fare riferimento ad una sorta di Nuovo Umanesimo e queste opere di Filomeni sembrano confermare questa mia tesi. Quel che intendo dire è che attualmente molte espressioni artistiche appaiono sempre più orientate, di fronte al disastro civile, alla débâcle etica che sembrano assediarci, al recupero e alla ricerca di una spiritualità che persiste, nonostante tutto, negli esseri umani e nei loro prodotti, e quanto più l’espressività appare caotica e violenta, oppure satura di materiali di recupero, il risultato estetico e dunque il significato ultimo marcano invece un segno positivo nel giudizio sull’umanità. Attribuire bellezza agli “scarti” significa di per sé dimostrare che esiste una capacità di recupero, che è possibile riconvertire, ricostruire. La riabilitazione del “rifiuto” (ad esempio nell’opera Uomo si assiste al recupero del cofano di un’automobile distrutta in un incidente e di un vecchio maglione) implica rifiutare l’idea che l’uomo contemporaneo sia solo una macchina consumistica, fagocitante e distruttiva. L’uomo, nonostante tutto, non sa e non può liberarsi della memoria, la facoltà di ricordare è la sua storia, è ciò che ha fatto di un antico animale un essere pensante, riflessivo, costruttivo. Alla memoria l’uomo deve la prerogativa di essere divenuto attore della propria vita; la necessità della memoria ha fatto sorgere i dolmen e i menhir, primo segno concreto di attività costruttiva dell’uomo e l’utopia della memoria perenne, dell’eternità, ha dato luogo alle Piramidi.
Oggi che la scienza ci dota virtualmente di una sorta di onnipotenza la memoria non ha sede nel grandioso ma del dettaglio, non vogliamo solo lasciare memoria di noi ma avere ora memoria di ciò che noi siamo.
Dietro ad ogni quadro Lorenzo sintetizza la sua storia, un rigo di diario, in particolare per le ruggini documenta il luogo d’origine di esse e la data di esecuzione. Parlando di esse egli dice: “La composizione ottenuta è una dimensione in cui mi perdo e mi ritrovo, riflettendo sulla relatività del tempo, l'odore del vuoto, la grandiosità delle diversità della vita, la porosità di un granello di sabbia. Ognuno di questi aspetti genera consapevolezza di chi sono e riveste la mia personalità come la ruggine il ferro".
Antonella Serafini
Viareggio, dicembre 2008
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